Lo capisci solo dopo, quando ti trovi seduta dietro a una cattedra. Lo capisci solo dopo che puoi avere anche sette lauree, ma saper tenere la disciplina in una classe è un altro paio di maniche, e nessuno te lo può insegnare.
E’ una capacità innata: o c’è o non c’è, e io questa capacità non ce l’ho. Purtroppo.
E poi bisogna saperli “acchiappare” questi ragazzi, creare interesse. Parlare di letteratura, leggere una poesia o un brano, e inchiodarli lì, che ti ascoltano senza neanche respirare. Neanche questo mi appartiene. Purtroppo. E mi chiedo cosa ci sto a fare io, dietro a questa cattedra.
Senza contare che quando ti capita in classe uno come Tore, che al contrario di me catalizza il gruppo appena parla, e qualsiasi cosa faccia; che sta al cellulare mentre tu spieghi; entra ed esce dalla classe quando e come gli pare; scrive oscenità sui muri dell’aula, e tutti gli altri dietro… va bè, quasi tutti, ma fa poca differenza. Ecco, quando ti capita uno così, sulla base di cui sopra, la frustrazione è il tuo pane quotidiano, e ti chiedi: non sarà il caso di lasciare?
Poi una mattina proprio lui, Tore, arriva in classe con uno zaino dove sembra aver ficcato tutti i libri che aveva in casa.
Si piazza davanti alla cattedra e dice:
“Devo assolutamente essere promosso. Ce la farò a recuperare? Parlo seriamente.”
Io rimango lì come un’allocca, sbigottita, neanche avessi visto un fantasma.
Tore continua a guardarmi in faccia, deciso, poi mi agita una mano davanti agli occhi: “ehi, prof. sono Tore. Si ricorda di me?”
Intanto mi dico, allora i miracoli accadono! Ma rimando a un secondo momento ogni tipo di riflessione.
“No, non mi ricordo di te. Eri qui? – e lo guardo diritto negli occhi – ma…ok, ci possiamo provare.”